American Psycho – Bret Easton Ellis

Ieri era domenica e in questo strano 2022 ho iniziato ad abituarmi ad un rituale ben scandito in ogni sua tappa. La domenica mattina mi sveglio verso le 10.30 e mi preparo i pancake. Li mangio a letto, sto attentissima a non sporcare le lenzuola con la marmellata di fragole, sempre la stessa Zuegg senza zuccheri, e bevo il mio cappuccino. Al termine di questa prima tappa faccio una capatina in bagno per lavarmi i denti e fare quella che chiamo laspà, tutto attaccato, e quindi maschera per sconfiggere i punti neri, maschera idratante, contorno occhi, crema viso, crema mani e burro cacao (quando mi sento proprio pazzerella scelgo quello al cocco, ma normalmente opto per quello alla vaniglia). Poi che faccio? Vado davanti alla mia libreria e scelgo un libro nuovo, ancora da leggere, e poi torno a letto armata di matita, post-it e matita metà rossa e metà blu. Poi leggo, fino a quando mi va. Senza soste, se serve, senza pause.

Ieri era domenica e come ogni domenica il rituale si è ripetuto e verso le 11.30 sono tornata a letto in compagnia di American Psycho, pubblicato da Einaudi e tradotto da Giuseppe Culicchia che lo presenta così:

Un romanzo insieme terribile e comico

Patrick Bateman è giovane, bello, ricco. Vive a Manhattan, lavora a Wall Street, e con i colleghi Timothy Price, David Van Pattern e Craig McDermott frequenta i locali più alla moda, le palestre più esclusive e le toilette dove gira la migliore cocaina della città, discutendo di nuovi ristoranti, cameriere corpoduro ed eleganza maschile. Secondo Evelyn Richards è il ragazzo della porta accanto.

Ma la vita del protagonista di American Psycho è scandita da altre ossessioni. Quando le tenebre scendono su New York, Patrick si trasforma in un torturatore omicida, freddo, metodico, spietato. Al punto da incarnare l’orrore. Con American Psycho Bret Easton Ellis ha scritto il libro che meglio di ogni altro racconta gli anni Ottanta. Un decennio che, ora lo sappiamo, non è stato semplicemente una parentesi, ma l’inizio di qualcosa. Così, questo viaggio senza ritorno nella follia e nella spersonalizzazione a base di immagini patinate e ultraviolenza non ci parla solo di un eroe e del suo tempo, ma finisce per rappresentare noi stessi e i nostri giorni. Anche quelli che verranno.

Perché ho deciso di leggere questo libro?

Giusta domanda, soprattutto perché era domenica e soprattutto perché se questa era la premessa non sarebbe stato male rifletterci un po’ prima di optare per questo romanzo. Il fatto è che questo libro era ospite nella mia biblioteca personale da inizio anno, dopo essere stato ospite per anni nella mia wishlist di Ibs.it. Ieri ho aperto la prima pagina e ho visto che Easton Ellis ha inserito come prima citazione di apertura un passo tratto da Le memorie dal sottosuolo di Dostoevskij e come titolo del primo capitolo la frase “pesce d’aprile”. Mi è sembrato un segno. Inoltre, American Psycho è uno dei 1001 libri da leggere prima di morire: i presupposti c’erano tutti, nonostante le parole di Culicchia.

Prima impressione

Non mi sono fermata neanche per pranzare e raggiunta pagina 483 ho cercato il film su Netflix e ho guardato pure la trasposizione cinematografica. Il film del 2000 corrisponde alla superficie, anche un po’ edulcorata, del romanzo che invece è un’opera sconvolgente. È la descrizione più straordinariamente oscena e inquietante della mente malata di uno psicopatico. Fa paura, questo libro, fa ribrezzo. Perché, allora, tutto questo successo?

Ho provato a darmi una risposta e sono arrivata alla conclusione che questo romanzo funziona bene perché la penna di Bret Easton Ellis è magistrale. Pur trattando temi insostenibili sia da un punto di vista etico e morale sia da un punto di vista fisico, perché vi assicuro che questo romanzo fa male, il risultato è una lettura ipnotica. È un romanzo depravato, osceno, disturbante, e contemporaneamente è un capolavoro magistralmente architettato, capace di suscitare emozioni forti, che sconvolgono e che accompagnano il lettore e che probabilmente non lo lasceranno mai davvero. È un romanzo corrotto, degenerato, dissoluto, immorale, pervertito, traviato, e non puoi portarlo con te troppo a lungo; non puoi perderti tra queste pagine per troppo tempo; non puoi stare con la testa lì per giorni. Devi finirlo e devi finirlo nel minor tempo possibile. Se riesci a finirlo, che non credo sia scontato.

Tra le pagine: stile e tono di voce

American Psycho è completamente scritto in prima persona singolare. Mentre leggiamo il romanzo siamo nella testa di quel pazzo scellerato di Patrick Bateman e vediamo ogni scena attraverso i suoi occhi. Il ritmo della narrazione è costante, sia quando viviamo le situazioni alla luce del giorno – quando Bateman è il ricco ragazzo privilegiato di Wall Street, che partecipa alle riunioni di lavoro e ai brunch dell’upper class e che è attento alla morning routine, all’abbigliamento, agli accessori – sia quando assistiamo ai crimini, agli stupri, agli omicidi che avvengono sempre nella notte, quando si trasforma nella bestia, nel mostro, nel demonio senza pietà, senza cuore, senza Dio. In ognuna di queste narrazioni resta saldo il punto di vista e, soprattutto, il tono di voce e il registro descrittivo. Questa tecnica rende completamente straniante la narrazione, molto spesso non ci rendiamo conto se a parlare è il personaggio o le voci che ha dentro la testa.

Altro elemento straniante, che sottolinea un tema centrale del romanzo, è costituito dai dialoghi. Patrick Bateman si confronta quotidianamente con il suo gruppo di amici e con le rispettive fidanzate e la maggior parte delle volte ogni interlocutore affronta una conversazione separata dalle altre. C’è questo dilagante senso di incomunicabilità tra i personaggi: vivono tutti in simbiosi, ma nessuno conosce davvero gli altri. La fidanzata del protagonista, Evelyn, lo descrive come il ragazzo della porta accanto perché non lo conosce davvero. Vive in simbiosi con l’idea che ha di lui, ma non lo ha mai davvero guardato né ascoltato. La coppia spesso si trova a cena con le altre coppie ma la conversazione non è mai tangente, ognuno di loro parla ma parla sempre di sé o a sé stesso e noi lettori assistiamo a conversazioni che sfiorano la superficie e che in modo grottesco cercano di creare ponti e comunicare qualcosa al prossimo, senza riuscirci mai.

Questo romanzo è un continuo incubo, ad ogni pagina. E non è soltanto la descrizione di ciò che avviene, piuttosto lo stile, il tono di voce, il punto di vista. Non c’è alcuna intrusione da parte dell’autore, non c’è giudizio o tentativo di dare valutazioni circa il comportamento del serial killer. E più andiamo avanti più il climax cresce di intensità, per oltre 400 pagine e senza tregua.

Per gli aspiranti scrittori vale la pena leggerlo soltanto per le tecniche messe in campo dall’autore che in quanto a scrittura è un vero maestro.

Gli anni ’80 e i grandi temi

Patrick Bateman si muove indisturbato su due ambientazioni: gli anni ’80 e la sua mente malata.

  1. Gli anni ’80 sono presenti nel romanzo sia attraverso le minuziosissime descrizioni che riguardano tagli di capelli, accessori, vestiti e scarpe sia attraverso le tematiche che hanno caratterizzato quegli anni, tra le più evidenti c’è sicuramente l’AIDS. A questo si aggiunge tutta una serie di icone, anche in questo caso descritte in modo minuzioso e chirurgico (l’autore dedica un intero capitolo alla descrizione di un disco di Phil Collins, traccia per traccia, e un capitolo a quello di Whitney Houston – li trovate rispettivamente a pagina 157 e 303). Infine la cocaina, i sonniferi, le droghe e gli psicofarmaci di cui ogni personaggio fa uso assai frequente.
  2. La mente malata è un disco di sottofondo che confonde il protagonista e che lo soffoca. Senza nessun motivo e senza nessuna logica, la mente del personaggio governa le attività notturne. Selezionale le vittime e definisce i rituali. Bateman è uno schifoso razzista, detesta senza criterio animali randagi al pari di uomini e donne senza fissa dimora e proprio da queste categorie inizia i suoi massacri. Bateman è un omofobo e si scaglia anche contro gli omosessuali più o meno abbienti. Bateman è uno stupratore e tortura e uccide nei modi più atroci, freddi e distaccati prostitute, ragazze conosciute nei club e anche ex fidanzate. Bateman è pazzo e pervertito e arriva al punto di uccidere un bambino senza riuscire a provare nessuna emozione. Non c’è empatia, non c’è nessuna forma di amore o rispetto in lui, c’è una follia omicida e scriteriata che sembra, per lui, l’antidoto al senso di vuoto che prova dentro. Non c’è pena che possa redimerlo, non c’è salvezza.

American Psycho è un romanzo costellato da simboli e ricorrenze:

  • Les Misérable in versione Brodway: il musical ci accompagna dalla prima pagina all’ultima, è presente nei dialoghi tra i personaggi, fa da sfondo a diverse scene e nel film è addirittura incorniciato e appeso su un muro dell’appartamento del protagonista.
  • Devo restituire alcune videocassette: non c’è frase più ripetuta di questa. Nei rituali di Bateman c’è anche la visione ossessiva di film porno. La restituzione delle videocassette è la risposta a ogni invito da declinare, è la scusa, è l’alibi.
  • La moda: nell’abbigliamento, nei locali più in, l’autoabbronzante, la cura ossessiva del corpo, della pelle e dei capelli, la scelta degli accessori descritti dal colore al prezzo senza tralasciare brand e dettagli. L’acqua è sempre Evian, ogni sera una bottiglia di Chardonnay, strisciano in continuazione carte American Express platinum e gold e così via tra concerti degli U2, viaggi in limo e in taxi gialli.

Il non finale

Secondo me, una cosa soltanto funziona meglio nel film rispetto al libro, dove stranamente è più sbrigativa: la confessione. In questo climax crescente di follia omicida, Bateman arriva a quello che sembra un punto di non ritorno. Disperato, con l’acqua alla gola, decide di confessare i suoi crimini al proprio avvocato e racconta tutto, ogni dettaglio, ogni omicidio. Nel film, Christian Bale si dispera al telefono, nel libro c’è una descrizione sommaria.

Poi si va avanti e si resta sospesi in un limbo abbastanza ambiguo, che mi ha lasciato un senso di spaesamento. Non si capisce fino in fondo se Bateman è davvero un assassino o se le oltre 400 pagine di atrocità sono il frutto di un’idea, di un pensiero o di un incubo. Anche il film mantiene questa ambiguità e la sensazione che ho provato davanti all’ultima pagina è la stessa che mi lascia il brusco risveglio da un brutto sogno, quando il silenzio diventa sensibile e ci fa sentire anche i rumori che non ci sono davvero.

Devo ammettere che in certi passaggi mi sono bloccata e ho dovuto prendere delle distanze. Questa spettacolarizzazione della violenza e del dolore raggiunge livelli che non mi è mai capitato di leggere in nessun altro romanzo in tanti anni di onorata carriera di lettrice. Capisco perché questo libro è uno dei 1001 libri da leggere prima di morire: è una lettura che lascia un segno profondo nel lettore. C’è un prima e un dopo American Psycho e mentre scrivo questi pensieri sparsi e sfoglio il libro mi viene da pensare a quante persone abbiamo intorno e a quanto poco possiamo conoscerle davvero. Ognuno di noi costituisce una narrazione di sé stesso, come Bateman giovane, bello e ricco ragazzo che di notte libera la bestia che alberga in lui.

Un libro non adatto a tutti, sicuramente. Una citazione, secondo me la più potente:

“…là dove c’erano la natura e la terra, la vita e l’acqua, ho visto una landa deserta senza fine, simile a una sorta di cratere, talmente priva di ragione e luce e spirito che la mente non riusciva ad afferrarla a livello consapevole. Era una visione così limpida e autentica e vitale, per me, che nella sua purezza era quasi astratta. Ecco cos’era che potevo capire, ecco com’era che vivevo la vita, ecco intorno a cosa mi muovevo, ecco come mi relazionavo al tangibile. Questa era la geografia intorno alla quale ruotava la mia vita: non mi era mai venuto in mente, mai, che la gente fosse buona o che un uomo potesse cambiare o che il mondo sarebbe potuto essere un posto migliore grazie a un sentimento o a uno sguardo o a un gesto, o al fatto di accettare l’amore o la gentilezza di un’altra persona. Niente era positivo, l’espressione “generosità di spirito” non aveva senso, era un cliché, uno scherzo di cattivo gusto. Il sesso è matematica. L’individualità non esiste più. Che cosa significa l’intelligenza? Come definire la ragione? Il desiderio – non ha senso. L’intelletto non è una medicina. La giustizia è morta. Paura, recriminazione, innocenza, simpatia, colpa, perdita, fallimento, dolore, erano cose, emozioni, che nessuno sentiva più sul serio. Il pensiero è inutile, il mondo è privo di significato. Il male è l’unica cosa permanente. Dio non è vivo. L’amore non è degno di fiducia. La superficie, la superficie, la superficie, ecco l’unica cosa in cui ciascuno trova qualche significato…questa era la civiltà dal mio punto di vista, colossale e frastagliata…”

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